giovedì 24 febbraio 2022

Ricordi di mio nonno bambino, di Adriano Espa, Classe 3^E, Scuola secondaria di Primo grado

 

Ricordi di mio nonno bambino

Il Fascismo e la guerra

Durante il Fascismo a Samassi, nel paese di mio nonno, i bambini di 12-13 anni marciavano per le strade del paese vestiti di nero con una fascia bandoliera: erano i balilla.

Il sabato i tesserati del partito fascista si riunivano nella loro sede e cantavano canzoni come "Giovinezza". Sul muro del mulino del paese, dove si macinava il grano, bene in vista per tutti i passanti, c'era scritto in nero "Chi non è pronto a morire per la sua fede, non è degno di professarla".

Durante la Seconda guerra mondiale spesso degli aerei con la scritta "SS" e la svastica, il simbolo nazista, sorvolavano il paese; ogni vicinato aveva un rifugio sotterraneo scavato con le mani dagli abitanti per paura dei bombardamenti.

Da Serrenti, un paese vicino, arrivava il suono della sirena che avvisava le persone del pericolo. Anche vicino a casa di mio nonno c'era un rifugio e lui vi entrò molte volte superspaventato.

Su Samassi non furono mai sganciate bombe, ma si sentivano da Cagliari, a 30 km. di distanza. Per ripararsi ci si poteva poggiare anche sugli stipiti delle porte, al tempo molto robusti, fatti con mattoni crudi, fango e paglia, in modo da non restare colpiti dal soffitto in caso di caduta per il bombardamento. Per strada venivano disseminati ordigni nascosti in penne, matite, calamai e oggetti simili per trarre in inganno le persone, e se venivano urtati, o anche semplicemente toccati, potevano scoppiare in mano col rischio di danni agli arti. Gli edifici pubblici come le scuole o le chiese erano diventati alloggio per i soldati con le loro munizioni.

Una vicina di casa di mia nonna andava tutti i giorni, per anni, alla stazione dei treni, ad attendere il ritorno del figlio partito per la guerra e mai più tornato. Si chiamava Francesco.

La scuola

Anche se al tempo le classi erano o di soli maschi o di sole femmine, mio nonno ha frequentato una classe mista. Gli alunni erano una trentina e a quei tempi i bambini che si comportavano male dovevano avvicinarsi alla cattedra e ricevevano una bacchettata. Mio nonno non fu mai colpito. Veniva chiamato per intonare il canto del "Padre nostro" perché era il più bravo nella materia recitazione/canto. Una volta un professore gli fece studiare delle canzoni fasciste. Alle pareti della sua aula c'erano dei cartelloni con le foto del monumento al Milite ignoto.

Il pane

A quei tempi le persone facevano il pane in casa. Chi non poteva farlo per motivi di tempo o economici, doveva andare in panificio e presentare necessariamente la tessera fascista. Mio nonno si ricorda bene di quell'esperienza. Oggi sembra facile fare il pane, ma allora ci volevano tanti passaggi: inizialmente veniva coltivato il grano, venivano estirpate tutte le erbacce e nel tempo della raccolta si mieteva a mano; dopo il grano veniva portato nelle aie con i carri, si lasciava asciugare, si spargevano per terra le fascine e usavano il bestiame per la trebbiatura.

Una volta trebbiato, il grano veniva ammucchiato e si doveva aspettare un giorno ventoso per poterlo separare dalla paglia.

In seguito questo grano veniva messo nei sacchi e portato a casa e attraverso altri procedimenti veniva lavato ogni quindici giorni e veniva conservato in luoghi freschi, visto che al tempo non c'erano frigoriferi. Infine, si portava al mulino dove veniva macinato in presenza del padrone a cui poi sarebbe stata consegnata la farina in sacchi.

I poveri come mio nonno, che non potevano trasportarlo con un mezzo o un animale, lo trasportavano a spalle sino a casa.

Ogni quindici giorni si produceva tanto pane che poteva bastare per alcune settimane. Con le famiglie che ne avevano in abbondanza per loro, interveniva il Comune che, per volere del Partito, prendeva quello in eccedenza e offriva in cambio ricompense.

Adriano Espa, Classe 3^E, Scuola secondaria di Primo grado

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