Ricordi
di mio nonno bambino
Il
Fascismo e la guerra
Durante
il Fascismo a Samassi, nel paese di mio nonno, i bambini di 12-13 anni
marciavano per le strade del paese vestiti di nero con una fascia bandoliera:
erano i balilla.
Il
sabato i tesserati del partito fascista si riunivano nella loro sede e
cantavano canzoni come "Giovinezza". Sul muro del mulino del paese,
dove si macinava il grano, bene in vista per tutti i passanti, c'era scritto in
nero "Chi non è pronto a morire per la sua fede, non è degno di
professarla".
Durante
la Seconda guerra mondiale spesso degli aerei con la scritta "SS" e
la svastica, il simbolo nazista, sorvolavano il paese; ogni vicinato aveva un
rifugio sotterraneo scavato con le mani dagli abitanti per paura dei
bombardamenti.
Da
Serrenti, un paese vicino, arrivava il suono della sirena che avvisava le
persone del pericolo. Anche vicino a casa di mio nonno c'era un rifugio e lui vi
entrò molte volte superspaventato.
Su
Samassi non furono mai sganciate bombe, ma si sentivano da Cagliari, a
Una
vicina di casa di mia nonna andava tutti i giorni, per anni, alla stazione dei
treni, ad attendere il ritorno del figlio partito per la guerra e mai più
tornato. Si chiamava Francesco.
La
scuola
Anche se
al tempo le classi erano o di soli maschi o di sole femmine, mio nonno ha
frequentato una classe mista. Gli alunni erano una trentina e a quei tempi i
bambini che si comportavano male dovevano avvicinarsi alla cattedra e
ricevevano una bacchettata. Mio nonno non fu mai colpito. Veniva chiamato per
intonare il canto del "Padre nostro" perché era il più bravo nella
materia recitazione/canto. Una volta un professore gli fece studiare delle
canzoni fasciste. Alle pareti della sua aula c'erano dei cartelloni con le foto
del monumento al Milite ignoto.
Il pane
A quei
tempi le persone facevano il pane in casa. Chi non poteva farlo per motivi di
tempo o economici, doveva andare in panificio e presentare necessariamente la
tessera fascista. Mio nonno si ricorda bene di quell'esperienza. Oggi sembra
facile fare il pane, ma allora ci volevano tanti passaggi: inizialmente veniva
coltivato il grano, venivano estirpate tutte le erbacce e nel tempo della
raccolta si mieteva a mano; dopo il grano veniva portato nelle aie con i carri,
si lasciava asciugare, si spargevano per terra le fascine e usavano il bestiame
per la trebbiatura.
Una
volta trebbiato, il grano veniva ammucchiato e si doveva aspettare un giorno
ventoso per poterlo separare dalla paglia.
In
seguito questo grano veniva messo nei sacchi e portato a casa e attraverso
altri procedimenti veniva lavato ogni quindici giorni e veniva conservato in
luoghi freschi, visto che al tempo non c'erano frigoriferi. Infine, si portava
al mulino dove veniva macinato in presenza del padrone a cui poi sarebbe stata
consegnata la farina in sacchi.
I poveri
come mio nonno, che non potevano trasportarlo con un mezzo o un animale, lo
trasportavano a spalle sino a casa.
Ogni
quindici giorni si produceva tanto pane che poteva bastare per alcune settimane.
Con le famiglie che ne avevano in abbondanza per loro, interveniva il Comune
che, per volere del Partito, prendeva quello in eccedenza e offriva in cambio
ricompense.
Adriano
Espa, Classe 3^E, Scuola secondaria di Primo grado
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