Sestu, marzo 2020
Caro Diario,
quando a gennaio in TV hanno iniziato a parlare di questa malattia
provocata da un virus, che stava facendo ammalare tante persone in Cina, non ci
ho pensato tanto, perché pensavo fosse una cosa molto lontana da noi.
Passavano i giorni e in TV e in tutti i TG non si parlava d'altro.
Poi ho iniziato a sentir parlare i miei genitori, che lavorano in ospedale,
ed iniziavano a preoccuparsi, perché dicevano che con tutte le persone che
viaggiano, presto il virus si sarebbe diffuso in altri luoghi. Così è stato e
dopo qualche settimana è arrivato il primo malato anche in Italia e da lì
purtroppo c'è stata una diffusione velocissima.
Ormai abbiamo migliaia di contagiati, tanti ricoverati in ospedale, e
purtroppo la parte più drammatica di questa pandemia è il numero di morti, il
fatto che non si sa quando finirà e non si ha ancora un vaccino.
Ho iniziato a capire quanto fosse grave la situazione quando abbiamo avuto
il primo contagiato in Sardegna ed i miei genitori mi hanno spiegato quanto era
grave e quanti rischi in più loro correvano, lavorando in ospedale.
La notizia che mi ha colpito di più è stato sentire attraverso il TG il
numero dei morti. I primi giorni, quando ancora si poteva uscire ed andavamo a
scuola, mi sembrava ancora comunque tutto normale. Quando ai primi di marzo
sono arrivate le prime restrizioni da parte del governo, tra le quali la
chiusura delle scuole, è stata gioia, pensavo di essere in vacanza... ma mamma
subito mi ha spiegato che non era una cosa positiva, e che non ero in vacanza.
I primi giorni ero contento anche della didattica a distanza, era comunque
una cosa nuova ed interessante, ora sinceramente a quasi un mese dalla chiusura
della scuola, vorrei tornarci, fare le lezioni normali in classe, rivedere i
miei compagni.
Per fortuna la tecnologia ci è stata d'aiuto, altrimenti non avremmo potuto
fare lezione, anche se a volte ci sono problemi per la connessione, per
svolgere i compiti... Una delle cose che mi pesa di più è non poter uscire
liberamente a giocare con gli amici nel quartiere, come ero solito fare quasi
tutti i giorni.
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